Quinto di Treviso
Piazza Roma, 2
CENNI STORICI
Quinto di Treviso
Il titolo latino della Parrocchia di Quinto, "Plebs et Archipreshiteratus seu Chorepiscopatus", testimonia la sua antichità: esso riflette una ripartizione della Diocesi, risalente ai primi secoli del Cristianesimo, in Corepiscopati, successivamente trasformati con opportuni riassetti, in Arcipretati, Congregazioni ecc., i cui "prepositi avevano da vigilare sulla condotta de' parrochi, e sui costumi de' popoli compresi nel quartiere loro assegnato" (Fapanni). Là Chiesa di S. Cassiano é di istituzione molto antica; viene ricordata nella bolla di Papa Eugenio III. nel r152 ed in un documento dei 1189, relativo ad una riunione di vassalli di Corrado lI, vescovo di Treviso, assai importante perchè testimonia l'esistenza di un portico esterno alla chiesa ("Ac tum in Comitatu Tarvisirio sub portico plebis sancti Cassiani de Quinto").
L'unica testimonianza architettonica dell'epoca medievale è il campanile, risalente forse al sec. XII: l'aspetto di torre merlata non è tuttavia originale, ma gli fu conferito da un restauro eseguito forse nel sec. XVIII, allorchè fu ridotto in altezza e fu rinforzato per mezzo di cerchioni di ferro.
La chiesa attuale fu riedificata nella prima metà del Settecento sul sito della chiesa antica: l'arciprete Vittorio Tattara, nella relazione per la visita pastorale del 1779, riferisce che furono "conservati nella fabbrica gli antichi muri laterali"; fu consacrata dal Vescovo Giustiniani nel 1779.
L'edificio presenta una facciata neopalladiana, con quattro lesene a sezione quadrata su alto stilobate e capitelli corinzi sorreggenti un timpano triangolare a dentelli. L'interna riprende lo stile architettonico della facciata: finte colonne con capitelli ionici inquadrano le cappelle laterali e sottendono gli angoli, sormontate da un cornicione su cui si imposta i1. soffitto a volta. Un arco a tutta altezza immette al profondo presbiterio chiuso dall'abside.
Quattro finestroni nella navata e due nel presbiterio conferiscono piena luminosità alla chiesa che, per armonia di proporzioni, raffinatezza di tinteggiature, ricchezze di arredi (altari di marmo, pulpito, cassa dell'organo, confessionali, cantorie, lampadari) e lo splendido affresco del soffitto - opera del pittore veneziano Jacopo Guarana - si presenta come un piacevolissimo ambiente tardobarocco.
Diverse opere esistenti nella chiesa presettecentesca furono recuperate e adattate alla nuova: la vasca battesimale in pietra d'Istria, che una lunga iscrizione testimonia eseguita nel 1317:
MCCCXVII MENSE AUGUSTO INDICTIONE XV HOC BATTISTERIUM FECERUNT FIERI DOMINUS PRESBITER IOHANNES PLEBIS SANCTI CASSIANI DE QUINTO ET FACIUS MASSARIUS EIUSDEM PLEBIS
Due pale d'altare (L'adorazione dei Magi, opera del sec. XVI e La Madonna del Rosario, datata 1622 e attribuibile ad Ascanio Spineda); infine l'opera più importante: l'altare ligneo in forma di polittico, già costituente l'alzata dell'altare nel sec. XVI, ora collocato nell'abside. Un recente restauro ha tolto a quest'opera numerose ridipinture che ne alteravano l'aspetto originale, permettendo altresì una lettura ravvicinata dei pezzi e l'apprezzamento della finezza esecutiva.
II polittico rispondeva alle esigenze devozionali e rappresentative non della sola parrocchia, ma di tutta la Congregazione che faceva capo alla Pieve di S. Cassiano, e ne riporta, ai posti d'onore, i titolari: S. Cassiano e la Madonna, sotto il doppio titolo di "addolorata" (al centro) e "incoronata" (la bellissima scena della. cima). Inoltre, accanto ai maggio, ri santi della Cristianità - Pietro, Paolo, Giovanni Battista é Stefano, rappresentati splendidamente a tutta figura ai lati di S. Cassiano in trono - trovano posto, nel registro centrale, i santi titolari delle chiese filiali: S. Elisabetta (Canizzano), S. Mauro (Castagnole), S. Cristina (S. Cristina del Tiveron), S. Elena (Monigo), S. Martino (Paese).
L'altare ha dunque un alto pregio artistico e costituisce rara testimonianza di un particolare tipo di arte - la scultura lignea - di cui rimangono pochissimi esemplari; ma presenta altresì un interesse storico tutto particolare quale documento di una situazione di ordinamento ecclesiastico modificato da eventi posteriori.
Santa Cristina
Nel 1933 fu inaugurata la nuova chiesa di Santa Cristina, eretta in un luogo alquanto discosto dal Sile e dalla vecchia chiesa, che fu, qualche anno dopo, demolita fino alle fondamenta, dopo che ne erano stati trasportati nella nuova arredi suppellettili e opere d'arte.
Di questa chiesa demolita non rimangono, a quanto risulta, testimonianze fotografiche: la troviamo tuttavia riprodotta, non è dato sapere con quanta fedeltà, nello sfondo della pala di Sant'Osvaldo, proveniente dalla vecchia chiesa e conservata nella sacristia della nuova parrocchiale. Vi si scorge una chiesetta assai semplice, ad unica navata, fiancheggiata da uno slanciato campanile, sulla sponda del fiume, da cui è separata da un muro digradante; il brano paesaggistico è completato da un altro edificio su un piano più arretrato (si vuole popolarmente trattarsi dell'antico convento camaldolese di San Parisio) e dalla ricca vegetazione delle rive. La pala di Sant'Osvaldo sembra opera del secolo XVII e dunque quella riprodottavi sarebbe la chiesetta di Santa Cristina del Tiveron intorno alla metà del Seicento. Rimane però anche una testimonianza pittorica più recente: una tavoletta ad olio, di proprietà del Parroco, tradizionalmente attribuita a Beppe Ciardi, ce la mostra ai primi del Novecento e, quantunque si tratti di un bozzetto svolto con tratti rapidi e sommari, ci permette di coglierne con sufficiente approssimazione la struttura architettonica. Soccorrono inoltre nella ricostruzione ideale dell'edificio documenti d'archivio e le note storiche pubblicate dal Fapanni e dall'Agnoletti. Infine vaghe tracce del pavimento e dell'abside era dato fino a qualche anno fa riscontrare nel luogo dove sorgeva: che è, come testimonia una vecchia carta della zona, sulla riva sinistra del Sile, circa 600 metri a valle del ponte del Tiveron. Ecco alcune descrizioni relative alla posizione della chiesa: «II suo sito è sul fiume Sile» annota nel 1758 il parroco don Domenico Conti nella relazione in occasione della visita pastorale. E don Lorenzo Biscaro precisa nel 1779: «E' sittuata vicino la rippa del fiume Sile, ma in qualche pocca d'eminenza, colla facciata riguardante l'occaso». L'Agnoletti si dilunga piacevolmente nella descrizione: «La parrocchia di Santa Cristina del Tiveron si trova a sei miglia S.O. dalla città, o al sexto miliario... sulla strada che da Treviso conduceva a Padova; e il placido Sile l'attraversa, abbondante d'anguille e trote ed un tempo anche di gamberi, che vi forma paludi e praterie, alimenta boschetti e luoghi colti, ed è ancora utile a mugnai e fabbri; da snelle barche piacevolmente percorso, tanto più che per l'influente del Zeriolo qui ha maggior copia d'acqua»
Lo studioso inoltre fornisce, e credo sia l'unico, una sua spiegazione alla toponomastica: «Le due sponde del fiume vi sono congiunte dal ponte del Tiveron che dà il nome al principale comunello della villa, ed è fama sia così appellato dall'imperator Tiberio che ne avrà ordinata la costruzione per il passaggio delle soldatesche: certo è ponte antico, e fra gli altri statuti del Comune di Treviso del sec. XIII si legge l'obbligo di tenerlo in conzo et in colmo».
Non si conosce la data di fondazione della chiesa: le fonti ricordano la data di una consacrazione nel 1643, che non dovette essere certo la prima; dell'esistenza di una cura a Santa Cristina, sotto la giurisdizione dei Canonici della Cattedrale, si ha notizia fin dal XII secolo, e quindi una chiesa dové esistere anche in quei secoli. Annota il già citato parroco Conti nel 1758 che «la fondazione (della chiesa) non ci può esser nota, essendo stata da più secoli eretta, sono pur ignoti li suoi fondatori». Tuttavia in un testamento del 1509, prè Franchino de Geromei, parroco di Santa Cristina, dichiara di aver speso duecento ducati «in faciendo Ecclesiam ipsam de novo, campanile illius, ecc.»: il documento testimonia dunque non solo dell'esistenza di una chiesa antecedente, ma ci fornisce una data abbastanza precisa, i primi anni del Cinquecento, in cui la chiesa fu completamente rifatta insieme al campanile.
Un'altra data è posta sulla base della statua di Santa Cristina, in pietra, originariamente sopra il portale della facciata ed attualmente collocata sull'esterno della scuola della Dottrina Cristiana; si legge: «COMUNITATUM EX PENSIS ANNO DOMINI MDCXXIII».
E' probabile che la data non si riferisca solo all'esecuzione e alla collocazione della statua, ma riguardi dei lavori radicali di ricostruzione, che continueranno ancora per qualche decennio se, come abbiamo visto, si deve procedere a una consacrazione vent'anni più tardi.
All'interno della Nuova Chiesa di Santa Cristina, vi è conservata una preziosa Pala del '500 di Lorenzo Lotto. Anche la cornice è preziosa: di legno scolpito e dorato, L. Bianconi la dice opera di Bartolomeo da Bologna intagliatore, eseguita nel 1507. E' uno splendido esempio, nel suo genere, di lavoro rinascimentale: ricca di decorazioni a festoni di frutta, tralci, vasi e volute; monumentale nella costruzione a doppie colonne, con l'arco spezzato. Tale monumentalità è giustificata dall'importanza del quadro che racchiude e dal fatto che costituiva, nella vecchia ma anche nell'attuale chiesa, l'alzato dell'altar maggiore.
Oasi del Mulino Cervara
L'oasi naturalistica del mulino Cervara si trova a 10 km da Treviso, il mulino era già funzionante sul finire del 1300 e svolse la sua attività fino all'inizio del secolo scorso, quando venne dismesso ed utilizzato come magazzino e poi come stalla.
Nel 1992 iniziò il recupero con un accurato restauro all'interno e all'esterno e vennero ricostruite le due ruote di legno ed il macchinario.
A fianco una nuova costruzione, fortunatamente edificata con criterio, che si offre come centro visitatori.
E' questo il primo impatto con il piccolo ma bellissimo parco.
Una stradina s'inoltra tra una fittissima vegetazione di alti alberi con, a lato, due canali d'acqua splendida e viva.
Quindi si arriva all'argine del canale principale, tutte diramazioni del fiume Sile, dove si può proseguire ancora un po', oppure andare a visitare il museo.
Lungo il sentiero della 'rosta' s'incontra un tipico casone di palude costruito in legno e canna palustre (all'interno si possono osservare uccelli imbalsamati che popolano l'oasi), poi la ricostruzione della peschiera utilizzata per catturare anguille e pesce di fiume.
A breve distanza si trova la cavana, un ricovero per le tipiche barche a fondo piatto.
Più in là l'osservatorio ornitologico dove si possono ammirare le numerose specie di uccelli che vi svernano o nidificano come Martin Pescatore il Tuffetto il Cigno reale ecc. Alcuni scenografici cigni incedono elenganti nelle acque in prossimità delle ruote del mulino.
All'interno del parco vi è l'orto botanico dove sono raccolte e classificate circa 50 specie di vegetali, alcune delle quali molto rare. Negli stagni si possono ammirare diverse specie di anfibi e rettili come la rana, la raganella e la tartaruga.
Proseguendo si arriva nella passerella sui 'fontanazzi', si tratta della costruzione di un camminamento che permette di osservare da vicino l'interessante fenomeno naturale delle risorgive.
Motivo d'interesse è l'osservare e, soprattutto, l'ascolare lo scorrere lento, ma allo stesso tempo vigoroso, dell'acqua. Un'acqua bellissima che affascina.
Un luogo dove incedere lenti, senza fretta, gustando fino in fondo lo scorrere del tempo.